Lo ha fatto la Rai, Pepsi e persino Sky. Il rebranding, ovvero il “riconfezionamento” grafico del logo aziendale, non è mai stato cosi attuale come negli ultimi anni. Quali sono i motivi che hanno spinto così tante multinazionali a fare questo tipo di operazione? E quali sono i criteri essenziali per non fare errori di comunicazione e non rovinare quel rapporto di affezionabilità che si crea tra il marchio e il consumatore?
Ad esempio: tutti ci siamo accorti quando è cambiato il bambino sulla confezione dei Kinder. E’ principalmente per un discorso di affezionabilità: siamo tutti bene o male legati a quel bambino sui pakaging del cioccolato della Kinder e per noi lui rappresenta in qualche modo la nostra infanzia, il cioccolato e tutto quello che rievoca quegli anni spensierati della nostra vita.
Negli ultimi anni Kinder lo ha cambiato ma senza stravolgerlo, è simile a quello vecchio ma è diverso, non intacca il nostro rapporto tra noi e quel marchio. Il cambiamento di quel bambino è quindi stata un’operazione di “rebranding” di successo.
Il rebranding non è mai stato così attuale e di recente molte aziende, un po’ per esigenze di mercato ma soprattutto per i cambiamenti apportati dall’avvento del digitale, hanno dovuto adeguarsi sempre di più a nuove piattaforme e ritoccare i loro loghi a favore di colori più brillanti e forme più “HD”, senza però stravolgere l’impatto sul proprio target di consumatore.
L’imperativo assoluto di questo tipo di operazioni è quella di comunicare “rinnovamento” e confermare la propria presenza sul mercato come brand di successo in linea con i tempi in cui viviamo e quindi rafforzare quel rapporto tra logo e consumatore.
Nella galleria vi proponiamo alcuni recenti rebranding di successo che sicuramente avrete già notato.
di Robi Chendler