Imperativo rebranding Mai cosi attuale come negli ultimi anni, ma perché?

Mono -11 novembre 2010

Lo ha fatto la Rai, Pepsi e persino Sky. Il rebranding, ovvero il “riconfezionamento” grafico del logo aziendale, non è mai stato cosi attuale come negli ultimi anni. Quali sono i motivi che hanno spinto così tante multinazionali a fare questo tipo di operazione? E quali sono i criteri essenziali per non fare errori di comunicazione e non rovinare quel rapporto di affezionabilità che si crea tra il marchio e il consumatore?

Ad esempio: tutti ci siamo accorti quando è cambiato il bambino sulla confezione dei Kinder. E’ principalmente per un discorso di affezionabilità: siamo tutti bene o male legati a quel bambino sui pakaging del cioccolato della Kinder e per noi lui rappresenta in qualche modo la nostra infanzia, il cioccolato e tutto quello che rievoca quegli anni spensierati della nostra vita.

Negli ultimi anni Kinder lo ha cambiato ma senza stravolgerlo, è simile a quello vecchio ma è diverso, non intacca il nostro rapporto tra noi e quel marchio. Il cambiamento di quel bambino è quindi stata un’operazione di “rebranding” di successo.

Il rebranding non è mai stato così attuale e di recente molte aziende, un po’ per esigenze di mercato ma soprattutto per i cambiamenti apportati dall’avvento del digitale, hanno dovuto adeguarsi sempre di più a nuove piattaforme e ritoccare i loro loghi a favore di colori più brillanti e forme più “HD”, senza però stravolgere l’impatto sul proprio target di consumatore.

L’imperativo assoluto di questo tipo di operazioni è quella di comunicare “rinnovamento” e confermare la propria presenza sul mercato come brand di successo in linea con i tempi in cui viviamo e quindi rafforzare quel rapporto tra logo e consumatore.

Nella galleria vi proponiamo alcuni recenti rebranding di successo che sicuramente avrete già notato.

di Robi Chendler

ECOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE

ordine, caos, verde, cielo tutto in una visione…

“ La storia dell’arte deve aiutare a prendere consapevolezza storica del proprio ambiente dove si cresce e si vive. Il suo studio dovrebbe essere sviluppato con stretto riferimento alla propria città ed al patrimonio artistico locale,( in Italia ce n’è dappertutto). Mi domando se i programmi di storia dell’arte non dovrebbero partire dalla lettura obbligatoria di alcune opere…. Si badi, la civiltà del futuro non credo che comporterà una componente artistica, almeno nel senso che intendiamo noi. Ma la città, l’ambiente c’è, va difeso o mutato; è la nostra storia.

L’ arte è un tipico fenomeno di civiltà urbana (tranne particolari frange espressive) : la città, lo spazio urbano, è una scala artistica che va dalle minime alle massime grandezze: dal gioiello che i passanti hanno al dito, alla forma delle automobili, alle piazze, al monumento…. L’identità città-arte dovrebbe essere la chiave per ogni studente.

G.C. ARGAN

Intervista con P.F. Listri da “La nazione” del 15.02.1973